C’è un solo modo per far ripartire il lavoro
ROMA- Sono più di venti anni che il lavoro è diventato quella macchia cui nessuno ha dato retta. Sono stati fatti tanti proclami da parte di tutti i partiti politici e da parte di tutti i suoi componenti.

ROMA- Sono più di venti anni che il lavoro è diventato quella macchia cui nessuno ha dato retta. Sono stati fatti tanti proclami da parte di tutti i partiti politici e da parte di tutti i suoi componenti. Il Lavoro è stata sempre lo strumento preferito delle campagne elettorali: tutti a dire combatteremo la disoccupazione, salvo poi rivelarsi al solita presa per i fondelli.
Chi sta pagando il prezzo più alto di questa crisi lavorativa sono i giovani, e non solo, anche i padri di famiglia sono in sofferenza e molte famiglie sono sulla soglia di povertà per via di un lavoro che non c’è. Ognuno si inventa una ricetta per fermare l’emorragia, ma nessuno dice a chiare lettere la verità su come far ripartire la macchina lavorativa italiana. I sindacati poi, io li farei chiudere, non servono più a nulla. sono strumenti inutili che finora si sono solo asserviti al potere di turno per non perdere i loro privilegi. Per i lavoratori hanno fatto ben poco in un momento storico dove il contrasto ai governi doveva essere forte per difendere sul serio il lavoro.
Gli ultimi sette anni di governo di centrosinistra hanno dato la mazzata peggiore al mondo del lavoro creando solo lavoro precario e schiavizzato. Il peggiore di tutto è stato il governo Renzi del PD, che ha portato i contratti a tempo all’infinito, e non ha garantito ai lavoratori un sistema equo e in grado di evitare troppe ore di lavoro con paghe da fame.
Nemmeno la ricetta che sta mettendo in campo il ministro del lavoro Luigi Di Maio è efficace. Sembra una nuova scorciatoia per tamponare e non risolvere. Purtroppo per far ripartire il mondo del lavoro ci vogliono ricette dal gusto forte. il reddito di cittadinanza va bene, poiché ci sono molte famiglie in difficoltà, ma non può essere l’unico modo per dire abbiamo fatto qualcosa. Ci vogliono fatti.
I fatti si costruiscono rendendo il paese più moderno. Partiamo dal punto che per tentare una strada nuova bisogna detassare le imprese e il lavoro, in maniera tale che chi paga poche tasse può reinvestire sull’impresa. Per le imprese un lavoratore costa parecchio. Ma il punto dolente è che questi soldi vanno a finire tutti nelle casse dello stato e poco resta per il lavoratore. Un esempio, se un lavoratore costa mille euro di mensile, allo stato vanno duemila, il doppio, e all’impresa un lavoratore costa tremila euro. Tutto ciò è assurdo, quindi è qui che bisogna intervenire. I costi sono troppo alti come sono troppo alte le tasse di tutti gli enti istituzionali.
Poi bisogna incoraggiare chi vuole fare impresa. Oggi un partita iva ha un costo esagerato, e anche se non si lavora, bisogna pagare ugualmente lo stato e gli enti periferici. Statisticamente una nuova partita iva chiude nel giro di due tre anni, allo stato fa comodo perché poi attacca chi non è riuscito a fare impresa rincarando la dose delle sue difficoltà. Sarebbe opportuno, invece, incoraggiare chi si mette in gioco detassandolo perlomeno per i primi cinque anni di vita della nuova piccola impresa. In questo modo chi apre una piccola impresa sa che può lavorare tranquillamente per far crescere l’attività e mettersi in condizione poi di poter pagare le tasse. Ma è anche il modo, insieme all’abbassamento delle tasse, per far ripartire la macchina lavorativa italiana.
Rimettere in moto l’economia Italiana passa tutto attraverso il lavoro. Finché non parte il lavoro non partiranno nemmeno i consumi interni, che sono l’unica fonte di ricchezza economica di ogni paese. Le ricette finora ascoltate sono uguali a quelle già sentite. Ripeto, l’unico modo per ripartire è detassazione e solo detassazione, accompagnata da una vera sburocratizzazione del paese.