ROMA- C’è da rimanere schioccati dopo la sentenza della cassazione in merito ad una vicenda di umanità posta in essere da un imprenditore di cuneo, che tra pagare 258mila euro di Iva e pagare gli stipendi agli operai aveva deciso per quest’ultima opzione. All’imprenditore erano stati inflitti quattro mesi di reclusione dalla Corte d’appello di Torino, e oggi la Cassazione ha confermato la sentenza. Il motivo? La perdita del lavoro non costituisce grave danno alla persona.
Questa è una sentenza choc, poiché a questo punto l’imprenditore è stato comunque condannato nonostante abbia invocato lo stato di necessità che in base al codice prevede che non possa essere punito chi abbia commesso un fatto per salvare sé o altri dal pericolo di un danno grave alla persona. “Pur essendo fuori discussione che il diritto al lavoro è costituzionalmente garantito, e che il lavoro contribuisce alla formazione e allo sviluppo della persona umana, deve escludersi tuttavia che la sua perdita costituisca, in quanto tale, un grave danno alla persona”, e il riferimento è all’articolo 54 del codice penale. Bisogna ricordare poi l’articolo quattro della Costituzione italiana, che recita: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Ma a quanto pare, la costituzione per la stessa Repubblica, la perdita di un diritto non costituisce un danno grave alla persona.