“Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. Questo è l’articolo 53 della costituzione Italiana, scritto dai padri fondatori proprio per tutelare coloro che si trovavano in difficoltà economica per ovvie ragioni. Si stava ricostruendo l’Italia, e chi ha scritto la nostra costituzione ha guardato a tutto affinché agli italiani arrivasse un contenitore pieno di certezza per il futuro della nazione.
Ebbene, la nostra costituzione è bella, spesso viene “sbandierata” e “rivendicata” dai politici, ma poco osservata in alcuni casi. Attualmente in Italia ci sono cinque milioni di poveri. È stato costruito il reddito di cittadinanza come risorsa a disposizione dei cittadini meno ambienti: attualmente sono 2,8 milioni il numero dei beneficiari. Purtroppo con l’epidemia il fronte di persone che sono andate in sofferenza economica si è ampliato. Si calcola che altri milioni di persone sono cadute in miseria per la perdita di lavoro. Purtroppo con il virus la platea si è allargata.
Ritornando all’articolo 53, esso recita che gli “italiani sono tenuti a concorrere alle spese dello stato secondo le proprie capacità contributive”, cioè quello che guadagnano. Perfetto. Però chi non ha un lavoro o malauguratamente cade in disgrazia, lo stato poco lo tutela. Infatti sembra che non esiste un’anagrafe dei disoccupati, come se gli ex uffici ci collocamento non esistessero. Eppure c’è un data base per controllare i conti correnti dei cittadini ma non esiste uno per controllare chi può pagare e chi no. Basta avere una misera casa per essere “attaccati” dallo stato centrale attraverso agenzia delle entrate. Insomma, l’articolo 53 viene sistematicamente “violato”, poiché le procedure dello stato non tengono conto della difficoltà economica del cittadino, che, secondo l’articolo 53, dovrebbe essere esonerato dal concorrere alla spesa dello stato perché impossibilitato economicamente.