Ven. Set 29th, 2023

ROMA- I lavori socialmente utili (LSU) sono stati istituiti nel 1981 con l’obiettivo dichiarato di offrire ai lavoratori temporaneamente sospesi dal lavoro un’attività con fine di pubblica utilità. Negli anni il bacino di questi lavoratori è fortemente cresciuto fino a raggiungere 170.000 persone a fine anni ’90. Oggi vi sono circa 15.000 lavoratori socialmente utili per un costo di circa 70 milioni annui – dicono i dati dell’Inps – La legge 390 del 1981, che ha introdotto i lavori socialmente utili, prevedeva che i lavoratori in CIGS delle regioni del Mezzogiorno potessero essere utilizzati in servizi di pubblica utilità. Dal 1984 questa possibilità è stata estesa a tutto il territorio nazionale. Fra il 1991 e il 1994 è stata ampliata la sfera dei lavoratori utilizzabili, che è arrivata a comprendere anche i lavoratori in mobilità, i disoccupati iscritti da più di 24 mesi nelle liste di collocamento, i lavoratori iscritti alle liste di mobilità con o senza indennità, le categorie di lavoratori individuati dalle CRI (commissioni regionali per l’Impiego) e i lavoratori in disoccupazione speciale edile. Con il Decreto Legislativo n. 81/2000 e l’articolo 50 della Finanziaria 2003 si comincia a svuotare progressivamente il bacino di lavoratori socialmente utili. Le procedure che consentivano l’utilizzo di lavoratori in attività socialmente utili sono state abrogate, ma è stata mantenuta la possibilità di impiego diretto di lavoratori titolari di trattamenti previdenziali da parte delle pubbliche amministrazioni. Pertanto nel 2000 cessa la possibilità di approvare nuovi progetti di attività socialmente utili e viene disciplinata la prosecuzione di quelli già in corso. Istituto Nazionale Previdenza Sociale Si possono distinguere due categorie di lavoratori socialmente utili: i cosiddetti “transitoristi” ovvero i LSU che continuano le attività con oneri a carico del Fondo sociale occupazione e formazione (FSOF) e i lavoratori cosiddetti “autofinanziati” che continuano le attività con oneri a totale carico delle Regioni o enti utilizzatori. Attualmente le Regioni che hanno ancora attivi i Lavoratori socialmente utili a carico del FSOF sono soltanto sette (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna, Sicilia e Lazio). Pertanto il Ministero sta ponendo in campo misure di politica attiva mirate allo “svuotamento” del bacino dei LSU a carico del FSOF, attraverso la stabilizzazione dei lavoratori presso gli stessi Enti utilizzatori o attraverso l’erogazione di incentivi regionali finalizzati all’attività autonoma o alla micro-imprenditorialità.