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Febbraio 2014. Milano, via Rovello. All’interno della Sala Grassi  del Piccolo Teatro, gli attori Massimo Popolizio e Marco Foschi ,  provano alcune scene  della pièce di Roland Schimmelpfennig , “Visita al padre”, sotto l’attenta direzione di Carmelo Rifici.

“Allora , Marco , riprendiamo dal secondo atto, per l’esattezza riprendiamo la battuta finale  del tuo monologo!…” , esorta il regista”.

 “Chi , in fondo, sa quale sia il suo posto?…”, compita la battuta Foschi,  con aria poco convinta. “No, Marco, non ci siamo!…”, lo interrompe bruscamente Rifici, continuando : “Non ci siamo , perché non è questa l’intenzione con cui va pronunciata la domanda!…Quella  espressa dal personaggio, non è confusione, né, tantomeno, smarrimento esistenziale…Vedi, Marco, in questo interrogativo l’autore racchiude tutto il senso del dramma, il suo tema centrale… Sì,il conflitto generazionale, intendo!…il senso di estraneità, eppure , allo stesso tempo, di familiarità di questo figlio ignorato dal padre sin dalla nascita…di questo figlio illegittimo che ,ritrovatolo e, fatta irruzione nella sua  famiglia  borghese ,all’apparenza perfetta, ne sovverte l’ordine e ne sconvolge l’ armonia finta e stucchevole… capisci?…E tu , Massimo, cosa ne pensi, sei d’accordo con me?…” .

 “Certo, Carmelo!…” , asserisce l’attore, prendendo la parola : “Caro Marco, qui c’è da ricordarsi della propria adolescenza…avrai litigato qualche volta anche tu con tuo padre,no?…ci sarà stato un periodo della tua vita in cui ti sarai sentito in competizione con lui,  messo all’angolo, desideroso di strappargli il ruolo dominante in famiglia?…Dalla tua perplessità  deduco che tu sia stato l’unico caso di figlio maschio adolescente in adorazione del padre…Be’,sono contento per te!…Io, invece, mio padre, non lo capivo, non lo capivo proprio…piuttosto l’ho combattuto e detestato…detestavo persino le sue fragilità!…Forse , è proprio a causa di questo rapporto complicato e interrotto che non me la sono sentita di mettere al mondo un figlio, di diventare genitore…Comunque,  non preoccuparti!…Ogni sera, prima di entrare in scena , come vorrebbe il buon Stanislavskij, simuleremo che io sia tuo padre…ti provocherò fino a farti esplodere, così innescheremo la miccia dello scontro…ma non abituarti troppo a questa “paternità” acquisita, eh! …Sarai per me come un figlio , quel figlio che non ho mai avuto, finché saremo in scena e per tutto il tempo della tournée, poi ognuno per la sua strada!…Io, non voglio figli , neppure quelli artistici , chiaro ?…” .

 “Non sono stato padre per paura” . Così, l’attore Massimo Popolizio in un’intervista rilasciata qualche anno fa al cronista di un quotidiano.

Nato a Genova , il 4 luglio del 1961,  rivela sin dall’adolescenza un talento per la recitazione , che lo induce,  terminati gli studi, a trasferirsi nella Capitale.

Formatosi presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico“, debutta in teatro nel 1983 , recitando nello spettacolo “S.Giovanna”, diretto da Luca Ronconi.

Interprete , fra la fine degli anni Ottanta e la metà dei Novanta,  di un vasto repertorio teatrale, italiano e internazionale, classico e contemporaneo (“Aiace”  di Sofoce, “Il gabbiano” di Anton Cechov, “La sposa di Messina”di Friedrich Schiller, “Aminta” di Torquato Tasso, “Peer Gynt” di Henrik Ibsen e “Re Lear” di William Shakespeare), nel 1995, vince il Premio Ubu come “miglior attore”.

Esordito nello stesso decennio nel cinema, con le pellicole: “Un ragazzo come tanti”di Gianni Minello e “Le affinità elettive” di Paolo e Vittorio Taviani e,  nelle serie televisive “Requiem per voce e pianoforte”di Tomaso Sherman e “La famiglia Ricordi” di Mauro Bolognini , dal 2001 al 2015, è protagonista di intense stagioni teatrali  , nuovamente diretto dal suo maestro, Luca Ronconi, nelle pièces : “Fratelli Karamazov”, adattamento dell’omonimo romanzo di Fedor Dostoevskij, “I due gemelli veneziani” di Carlo Goldoni (per la cui interpretazione ottiene il secondo premio Ubu ), “Lolita” ,tratto dallo scandaloso  romanzo di Vladimir  Nabokov , “Baccanti”di Euripide, “Le rane” di Aristofane , “Professor Bernhardi” di Arthur Schnitzer e “Lehman Trilogy” di Stefano Massini.

Raccolto un largo consenso di pubblico e di critica con i film: “Romanzo criminale” di Michele Placido, “Mare nero”di Roberta Torre, “Mio fratello è figlio unico”di Daniele Lucchetti , “Il divo” e “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino,“Benvenuto Presidente”di Riccardo Milani e “Il giovane favoloso” di Mario Martone , è “Cyrano de Bergerac” nella rivisitazione teatrale, curata da Daniele Abbado, dell’opera di  Edmond Rostand e “Il misantropo”,nello spettacolo omonimo  di Molière.

Doppiatore in pellicole, quali: “Eyes Wide Shut” , “Hamlet”(per cui si aggiudica un Nastro d’Argento),  “La leggenda del pianista sull’oceano”, “Armageddon-Giudizio finale” ed “Harry Potter”,  nel  2016 , si cimenta nella regia , dirigendo i drammi: “Il prezzo” di Arthur Miller e “Ragazzi di vita” di Pier Paolo Pasolini.

Volto di fiction Rai e Mediaset  di successo come “Il clan dei camorristi” e “Una grande famiglia” , nel contempo, dimostra di possedere doti di attore  brillante , partecipando alla commedia di Carlo Verdone  “L’abbiamo fatta grossa” .

Vincitore di un Nastro d’Argento speciale ,grazie alla sua interpretazione del giudice Giovanni Falcone nel film di Fiorella Infascelli, “Era d’estate”,  nell’agosto 2017,  presenta in anteprima, dinanzi alla platea  del Meeting di Rimini : “Padre e figlio”, spettacolo di Otello Cenci sul tema della paternità nella Bibbia , dichiarando : “Mentre facevo rivivere Caino e Abele, Abramo e Isacco , Giacobbe ed Esaù ho pensato inevitabilmente al figlio che sono stato e al figlio che non ho avuto . La cosa strana , forse curiosa , ma non casuale , è che sovente ho a che fare con questa tematica sul lavoro. Interpreto figli o padri con problemi e , andando a indagare i rapporti familiari nel modo più viscerale , talvolta non piacevole, il pensiero corre. Così , tornano a galla aspetti della vita che ti riguardano e che avevi dimenticato, perché non ti piacevano , ma , prima o poi, con la vita fai sempre i conti. Il mio essere  figlio  incapace di comprendere i problemi e le fragilità del padre , dunque , non è stato sufficiente a vincere la paura di diventare genitore. Ci vuole coraggio per mettere al mondo un figlio, perché rinunci a tanto di te per qualcun altro. Io non ero preparato a quest’evento  e ho scelto di non sostituire  un figlio mio  né con figli adottivi né con figli artistici. Anzi , quando mi rendo conto che potrebbe nascere questa paternità artistica sono io a interromperla. Ma devo ammettere che mi è rimasto un vuoto” .

Di nuovo sul set fra il 2018  e il 2019, con le pellicole: “Sono tornato”, di Luca Miniero ,trasposizione di un film tedesco in cui interpreta Benito Mussolini,  “Il campione”,  di Leonardo D’Agostini ,in cui recita il ruolo di “Tito”, presidente della Roma Calcio alle prese con un fuoriclasse ribelle, “Bentornato Presidente”,  di Giancarlo Fontana e Giuseppe Stasi, in cui veste i panni di un ex politico, “Il ladro di giorni”,  di Guido Lombardi ,“Il primo Natale”, di Salvatore Ficarra e Valentino Picone, commedia di Natale in cui interpreta il re della Giudea, Erode” e “I predatori”,  di Pietro Castellitto , in cui è “Pierpaolo Pavone”, medico “radical chic”, negli stessi anni, è altrettanto attivo nella fiction, girando le miniserie: “Qualunquecosa succeda”,  di Alberto Negrin , “Io non mi arrendo”,  di Enzo Monteleone e Il confine,  di Carlo Carlei , per poi tornare in scena nella doppia veste di attore e di regista degli spettacoli : “Un nemico del popolo” di Henrik Ibsen e “Furore” di John Steinbeck.

Versatile e capace di passare da toni della commedia a quelli del dramma, di recente ha preso parte alle serie Tv: “Svegliati amore mio”, di Simona Izzo e Ricky Tognazzi , “Governance – Il prezzo del potere”, di Michael Zampino e Ai confini del male, di Vincenzo Alfieri.

Doppiatore di numerosi film tra cui: “La leggenda del pianista sull’oceano”di Giuseppe Tornatore,  “Armageddon-Giudizio finale” di Michael Bay, “Il re leone” e la serie di “Harry Potter”, anche nella stagione teatrale 2022 è   in giro per l’Italia con l’opera di Steinbeck.

Componente del corpo insegnanti dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” di Roma, nella quale si è formato, del suo mestiere di attore ha detto: Io quando sono a teatro voglio vedere anche l’ossatura, la struttura, che poi gli interpreti bravi sono capaci di assimilare e di mostrare attraverso la loro interpretazione. Per questo prima di tutto, il teatro è per me un lavoro d’ensemble; anche per Ibsen io avevo molto chiara una struttura, ma è con gli attori che l’ho potuta verificare. I registi, per me ,sono fondamentalmente di due tipi: chi dice la scena e chi la fa vedere. Dirla, oggi, genera molti equivoci, perché dire è molto soggettivo ed esclude ciò che non si deve fare piuttosto che cercare ciò che si deve fare, stringendo così il campo di quello che invece si può fare. Io cerco di far vedere, come ho visto fare a Luca Ronconi, perché recitare è un fatto corporale e non intellettuale, è organico, dipende dall’energia che metti e da come la governi; ma per fare in modo che questa energia arrivi a un centro ,c’è bisogno di qualcuno che la diriga. La cosa che mi ha sempre accompagnato nel mestiere è la paura. Avendo fatto anche spettacoli molto complessi, se c’è un oggetto che mi rappresenta è qualche goccia per l’ansia prima di andare in scena, perché mi impedisce di cadere nel panico, ma allo stesso tempo mi permette lucidità. È una cosa molto comune, ora la so domare meglio, ma non va via col tempo, si diventa più bravi a mascherarla, mettendo in campo delle strategie. Quello che sto imparando da regista, e che prima non facevo, è avere rispetto della fragilità degli attori, che hanno bisogno sia di grandi sferzate che di grande comprensione”.